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sabato 31 luglio 2010

SOREN KIERKEEGARD

Se mi etichetti mi annulli. (Kierkegaard)
Importante nella sua formazione è il luogo di nascita, la Danimarca, che in quegli anni si configurava come una sorta di periferia del mondo intellettuale tedesco e, proprio per questo, risentiva molto del pensiero hegeliano. E non a caso Hegel sarà l'idolo polemico contro il quale Kierkegaard costruirà il proprio sistema filosofico, pur avendo in gioventù aderito all'hegelismo (cosa di cui si pentirà esclamando io, stupido hegeliano "). Di Kierkegaard possediamo un diario, nel quale trovano spazio, e anzi vengono ingigantite, anche le situazioni più banali, quale ad esempio la rottura del fidanzamento. Il padre lo spinse a seguire gli studi di teologia per poter diventare pastore protestante, ma tali studi si protrassero troppo a lungo per via di quell'incapacità di prendere decisioni che ben si evincerà dagli sviluppi della sua filosofia: è come se Kierkegaard volesse prolungare in eterno la propria adolescenza, senza mai diventar uomo. Questa fase corrisponderà ad uno dei tre "stadi della vita" (estetico, etico, religioso) che il filosofo delineerà nella sua riflessione: anzi, si potrebbe dire che in fin dei conti i tre stadi della vita umana altro non sono che i tre stadi della vita personale di Kierkegaard. Egli, dopo la morte del padre, ereditò un patrimonio tale da potersi permettere di vivere di rendita; e così, senza inserirsi nella vita matrimoniale o in quella lavorativa, egli si dedicherà a quello "stadio" da lui definito come religioso, entrando in conflitto con la Chiesa luterana della Danimarca: ad essa rimproverava aspramente il fatto che andasse sempre più istituzionalizzandosi. E, a tal proposito, Kierkegaard gioca la carta di Lutero contro il luteranesimo stesso: in Lutero, infatti, convivono due aspetti contrastanti, per cui, da un lato, troviamo una religiosità profonda e drammatica, caratterizzata da un disperato tentativo di rispettare la regola, e, dall'altro lato, un costante invito ad inserirsi nella società civile, nella convinzione che un vero cristiano debba inquadrarsi nella società attraverso il lavoro e la famiglia. Ecco perché Lutero appare nel contempo come uomo medioevale (per la sua religiosità disperata) e moderno (per la centralità della società e del lavoro). E proprio l'invito luterano ad inquadrarsi nella società sarà accettato da Kierkegaard nel secondo stadio della vita, quello etico (invito già peraltro accettato da Hegel nel momento dell'Eticità). Infatti, non gli interessa come sia fatto il mondo, ma il destino dell'uomo di fronte alle proprie scelte, ed è in virtù di questo interessamento che Kierkegaard può essere considerato un esistenzialista , collocandosi in quel filone di pensiero destinato a riscuotere così grande successo nel Novecento. E da vero esistenzialista, mira a comprendere l'uomo nella sua individualità, poiché gli uomini non sono nulla all'infuori che nella loro individualità; gli interessi di Kierkegaard vertono (a differenza di quelli di Hegel) sull'esistenza e non sull'essenza e l'esistenza in questione è quella del singolo. Ed è proprio su queste considerazioni che matura l'avversione di Kierkegaard nei confronti di Hegel, accusato di voler inquadrare ogni cosa (compreso l'uomo) in categorie troppo astratte e sganciate dalla realtà: e infatti Hegel non parla mai del singolo uomo, ma sempre del popolo o dell'umanità. Del resto, osserva Kierkegaard, checchè ne pensi Hegel, noi siamo nel mondo come singoli, ancor prima che come umanità e spirito.

Ecco perché Kierkegaard è un pensatore religioso che cerca di incarnare in persone concrete le sue categorie generali (questo spiega anche perché scrivesse spesso sotto pseudonimo): troveremo pertanto personaggi desunti dal mito, dalla tradizione letteraria e religiosa, che rappresentano costantemente il singolo; Don Giovanni rappresenterà l'incarnazione estetica, Guglielmo e Agamennone quella etica, Adamo e Abramo quella religiosa. Entriamo ora nel merito della filosofia kierkegaardiana: esistenza, possibilità e singolarità sono le tre categorie con cui la filosofia esistenzialista del pensatore danese si oppone alle filosofie tradizionali, in particolare a quella di Hegel, vista come eccessivamente astratta e per questo incapace di cogliere la realtà. Queste stesse accuse venivano in quegli anni mosse all'hegelismo da pensatori come Marx, Feuerbach e Schopenhauer: ma Kierkegaard si differenzia da essi in quanto prova a recuperare la concretezza dell'esistenza dei singoli, nella convinzione che la realtà non sia l'essenza dell'uomo (lo Spirito hegeliano), ma l'esistenza effettiva. E infatti, l'errore imperdonabile di Hegel sta nell'aver fatto derivare in modo necessario l'esistenza dall'essenza (la Natura come derivazione necessaria dall'essenza dell'Idea), senza accorgersi dell'incapacità dell'essenza di spiegare l'esistenza.. Dunque cerca conferme dell'irriducibilità dell'esistenza all'essenza in altri pensatori e le trova in Kant: quest'ultimo, infatti, aveva smontato la prova ontologica dell'esistenza di Dio elaborata da Anselmo di Aosta mettendo in evidenza come l'esistenza sia un qualcosa di sganciato ed indipendente dall'essenza, cosicchè (diceva Kant) dall'essenza del concetto di Dio non se ne può dedurre l'esistenza. E Kierkegaard, riprendendo queste considerazioni, conduce un'analisi della categoria di esistenza che fonderà la riflessione degli esistenzialisti novecenteschi: essi faranno, infatti, notare che esistere (dal latino existo , "vengo fuori") significa venir fuori dal concetto, ossia non essere riconducibili ad essenza, riconfermando la tesi kantiana secondo cui l'essenza e l'esistenza sono indipendenti. Centrale nel pensiero di Kierkegaard è, accanto alla categoria di esistenza, quella di futuro : Hegel individuava come dimensione temporale fondamentale il passato, facendo notare che "essenza" vuol dire "ciò che è stato", cosicchè il pensatore tedesco non si lasciava mai andare a descrizioni del futuro, ma restava saldamente ancorato al presente e, soprattutto, al passato. Ma, dice Kierkegaard, la nostra categoria è quella del presente che si proietta nel futuro, poichè ciascuno di noi esiste come singolo e progetta la propria vita affacciato sull'avvenire.

Kierkegaard costruisce (in Aut-aut e Timore e tremore ) quelli che lui chiama " stadi della vita " (estetico, etico, religioso):Aut-aut segna il passaggio dal primo stadio (estetico) al secondo (etico), mentre Timore e tremore (espressione desunta da san Paolo) segna il passaggio dal secondo (etico) al terzo stadio (religioso). Gli stadi della vita sono tre modelli generali di vita che, tipicamente, l'individuo può scegliere nella sua esistenza e queste scelte sono, tendenzialmente, in sequenza, per cui si tenderà a partire dallo stadio estetico per poi passare gradualmente agli altri due. Ne consegue che lo stato etico nasce come superamento di quello estetico, e quello religioso come superamento di quello etico: il passaggio da uno stadio all'altro è dettato da una libera scelta del singolo.La logica hegeliana era quella dell' "et-et", dove cioè valeva tutto e il contrario di tutto, visto che l'intelletto coglieva le contraddizioni e la ragione le ricuciva mettendo in evidenza come esse si richiamassero a vicenda. E questo, nota Kierkegaard, è un procedimento corretto solo se riferito alla sfera dell'astratto: se passiamo all'esistenza, la logica dell'et-et perde di significato. Ne consegue che se per la logica vale l'et-et, per l'esistenza vale invece l'aut-aut (come recita il titolo dell'opera di Kierkegaard): si sceglie o questo o quello, e la scelta dell'uno implica l'esclusione dell'altro. Detto questo, Kierkegaard cala i tre stadi della vita in personaggi concreti: l'eroe del momento estetico è il Don Giovanni, personaggio desunto dall'omonima opera di Mozart (riconosciuta da Kierkegaard, come da Schopenhauer, capolavoro assoluto della musica). Don Giovanni è il seduttore che mira a conquistare tutte le donne che gli capitano sotto mano ed è per questo il simbolo della vita estetica, ovvero del vivere le sensazioni che il mondo fornisce; l'esperienza estetica è prevalentemente di tipo quantitativo (alla qualità delle donne Don Giovanni preferisce la quantità) e consiste, essenzialmente, nel vivere dell'istante, godendo in maniera puntiforme di ogni sensazione che la realtà offre. La prima caratteristica dell'esteta sarà pertanto di presentarsi come spirito assolutamente libero: ma in realtà egli è tutto fuorchè libero. E' infatti il mondo che sceglie per lui: l'unica scelta che egli fa è di non scegliere, ossia di scegliere che sia il mondo a scegliere per lui. E infatti Don Giovanni, scegliendo tutte le donne, non ne sceglie nessuna: è il mondo che gliele offre.  La figura dell'esteta, nota Kierkegaard, è cosciente della disperazione. Dunque, la disperazione è il risultato necessario della vita estetica: ma poi sta all'uomo scegliere se vivere esteticamente anche la disperazione o passare allo stadio successivo, quello della vita etica. Analogamente a come era in Hegel, anche in Kierkegaard lo stadio della vita etica si caratterizza come dimensione in cui l'uomo vive calato nei valori della collettività: la figura che meglio incarna tale stadio è quella del consigliere di stato Guglielmo, classico burocrate statale. Egli viene presentato come corrispondente epistolare che si rivolge tramite lettera ad un amico più giovane che si trova in difficoltà suilla strada da scegliere, indeciso tra vita estetica e vita etica. E Guglielmo, con forti richiami alla tradizione luterana, gli illustra i valori positivi della vita matrimoniale (che rientra nello stadio della vita etica). Se la scelta della vita estetica è, paradossalmente, di non scegliere, quella della vita etica consiste invece nello scegliere di scegliere. Tuttavia, anche l'atteggiamento etico entra in crisi: pur essendo superamento di quello estetico, ha il limite di mancare di valore assoluto, dal momento che la vita umana è finita e l'uomo etico è privo di un aggancio con l'Assoluto. Scatta a questo punto la possibilità di una nuova dimensione, quella della vita religiosa, che trova in Abramo il suo eroe. Dio gli chiede di sacrificare suo figlio Isacco e, proprio quando sta per farlo, viene bloccato da un messo divino. Abramo è solo e va contro l'eticità: ecco perchè nella Bibbia l'uomo religioso è spesso solo nel deserto, dove può parlare a tu per tu con Dio stesso. Questo rappresenta quell'aggancio con l'Assoluto di cui la sfera etica manca: inoltre, il Dio di Abramo non è quello dei filosofi, degli scienzati e dei teologi, ma è il Dio persona con cui si può dialogare abbandonando la civiltà. E Kierkegaard nota che, a differenza di quella di Abramo, la scelta di Agamennone, il quale, per poter salpare con la flotta, deve ingraziarsi gli dei sacrificando la propria figlia Ifigenia, è una scelta etica, che non viene compiuta in solitudine a tu per tu con Dio (infatti Agamennone è attorniato dal coro, emblema del popolo greco e quindi dell'eticità).

Ecco perchè per Kierkegaard il cristianesimo è la religione del paradosso che fa saltare le categorie della tradizione classica. E così la filosofia kierkegaardiana si avvita sulla riflessione religiosa, la cui categoria principale è quella di angoscia : il concetto, che sarà ripreso dagli esistenzialisti del Novecento, fu esaminato dettagliatamente per la prima volta da Lutero, che definì l'angoscia come paura del nulla, ossia paura priva di un oggetto. Kierkegaard la riprende in quest'accezione e si può notare come essa e l'angoscia siano facce della stessa medaglia: la disperazione, infatti, è quel senso del nulla interiore che l'esteta prova nel rendersi conto che la vita estetica è nulla; si tratta di una sorta di tarlo interiore che mette in luce la nullità di fondo che caratterizza l'esistenza umana. L'angoscia, dal canto suo, è esteriore rispetto alla disperazione ed è legata alla categoria di possibilità: infatti, nota Kierkegaard, la categoria di possibilità è ambigua, poichè da un lato è positiva ( " ciò che l'uomo desidera sempre e comunque è una possibilità ") perchè rende possibile la libertà e l'allontanamento dalla disperazione, ma, dall'altro lato, è negativa, in quanto possibilità vuol sempre anche dire possibilità di cadere nel nulla ed è per questo accostata al senso di vertigine che si prova a guardar giù dalle alture. Infatti, quando si sceglie si ha sempre l'impressione di poter essere risucchiati dal vuoto e di poter piombare nel baratro del nulla.Ma se la paura è una condizione accidentale (che si verifica cioè solo in presenza dell'oggetto che incute timore), l'angoscia, invece, è costitutiva dell'esistenza umana proprio perchè l'esistenza è possibilità e la possibilità genera angoscia. L'unica paura necessaria, esulante da ogni accidentalità, è la morte: ma la paura della morte, nota Kierkegaard, è essa stessa angoscia, in quanto è timore del nulla. Alla categoria di angoscia è indisgiungibilmente connessa quella di fede : la fede è la sola cosa, aggrappandoci alla quale, possiamo compiere quel salto decisivo che ci consente di uscire dall'angoscia. Finchè restiamo nella nostra condizione umana, il timore del nulla non può essere debellato (nell'estetica per la sua non-libertà di scelta e nell'etica per la sua finitudine), ma non appena optiamo per la scelta religiosa (abbracciando la fede), ecco allora che sfuggiamo all'angoscia e alla disperazione e troviamo un riparo da essi nell'Assoluto






Il singolo e la folla.
Il Singolo è il concetto portante del pensiero di Kierkegaard. Per egli il problema filosofico fondamentale è quello dell’esistenza che riguarda appunto il Singolo e non altri.per Kierkegaard la verità è tale solo quando è una verità per noi stessi (cioè noi come singoli). Essa è il processo con cui un soggetto si appropria della verità. L’individuo diventa singolo solo in rapporto con Dio, ma la condizione inevitabile è che si isoli, l’essere soli dinnanzi a Dio. Piu si cerca di rapportarsi a Dio con la passione infinita del suo bisogno di Dio piu si è vicini alla verità. Non troverà la verità chi , invece, cerca Dio solo oggettivamente, quindi con l’uso della ragione. Anche in questo Kierkegaard critica Hegel.
Kierkegaard è contro la Folla ; egli la considera il pericolo maggiore, il male al mondo. Egli critica la Folla perché in essa il Singolo è nulla, in quel momento ciò che conta è il numero. Sia folla che numero appartengono all’animalità, non allo spirito. La parte animale degli uomini non osa mettersi in rapporto con Dio; sembra che nella folla si perda la propria identità. Kierkegaard definisce la folla come la peggiore delle tirannidi perché fa tramontare ogni cosa grande e sublime.
                                                                   
I tre stadi dell’esistenza umana.
Per Kierkegaard l’esistenza umana è divisa in tre stadi :lo stadio estetico, lo stadio etico e lo stadio religioso.

Lo stadio estetico
Per Kierkegaard il termine estetica designa una dimensione dell’esistenza, una forma e una complessivo di vita. L’esteta è colui che cerca di vivere poeticamente, cerca di cogliere dell’esistenza tutto ciò che è bello e interessante. Il modello dell’esteta è incarnato nella figura del Don Giovanni(amante) ; colui che è sempre in cerca di nuovi stimoli, non vuole rinunciare a niente. Non ama una sola cosa ma tutto. Egli gode dell’appagamento del desiderio, ma non appena ha goduto è in cerca di un nuovo oggetto ecc…
Però c’è un limite : la noia che assale l’amante. L’amante cade in un senso di insufficienza di tale vita, perché a furia di rincorrere cose nuove ha finito per perdere la propria identità. Nel momento il cui l’amante vuole ritrovare la propria identità, è chiamato a una scelta (aut…aut) : deve scegliere se continuare a vivere la stessa vita o cambiare e quindi passare al secondo stadio, quello etico.

Lo stadio etico.
Lo stadio etico rappresenta il modello borghese di vivere: lavoro, matrimonio e famiglia. Esso è incarnato dalla figura del marito, il quale crede di realizzare se stesso nella famiglia ma se vuole essere il padrone di essa deve essere il suo servitore e proprio perché è assoggettato da un’entità superiore perde la propria identità. A segnare lo stadio etico è la ripetizione. Nel momento in cui il marito prende coscienza di se e vuole ritornare allo stadio estetico si ha la rottura della famiglia. Quindi c’è una contrapposizione netta tra stadio etico ed estetico , se c’è uno non può esserci l’altro.

Lo stadio religioso.
Lo stadio religioso apre una nuova scelta tra vita etica e religiosa. La via che porta alla religione è aspra e tormentata , è una ricerca ansiosa di Dio attraverso una disperazione radicale. La fede è un fatto personale, è esperienza solitaria tra Dio e l’uomo. La fede chiede il silenzio, paradosso e scandalo. La fede è anche salto, un salto che si compie tra timore e tremore, perché lo si fa nella consapevolezza del rischio che accompagna la decisione ultima del credere perché in essa nulla è garantito. È solo un salto dalla quale possiamo attenderci solo decisioni radicali e terribili. Questo stadio è incarnato dalla figura di Avremo, il quale ricevette l’ordine da Dio di uccidere il figlio Isacco… quindi Abramo per seguire la religiose accettò questa terribile condizione e operò nel silenzio, con timore e tremore. 

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