La vita
Giacomo Leopardi nacque il 29 giugno 1798 a Recanati. La famiglia Leopardi era in cattive condizioni patrimoniali ma di rango nobiliare. Il padre era un uomo colto, che nel suo palazzo aveva messo insieme una notevole biblioteca, ma di una cultura accademica. I suoi orientamenti politici erano ferocemente reazionari, ostili a tutte le idee nuove che erano state diffuse dalla Rivoluzione francese . Giacomo crebbe in questo ambiente che in un primo tempo influenzò le sue idee e i suoi orientamenti. La vita familiare era dominata soprattutto dalla madre, donna dura, interamente dedita alla cura del patrimonio dissestato, ed era caratterizzata da un'atmosfera autoritaria, priva di confidenza e di affetto. Giacomo fu istruito inizialmente da precettori ecclesiastici, ma ben presto, intorno ai dieci anni, continuò i suoi studi da solo, chiudendosi nella biblioteca patema, per quei "sette anni di studio matto e disperatissimo", come li definì egli stesso, che contribuirono a minare il suo fisico già fragile. Dotato di un'intelligenza straordinariamente precoce, si formò ben presto una vastissima cultura: imparò in breve tempo, oltre il latino, anche il greco e l'ebraico, condusse lavori filologici che stupirono i dotti dell'epoca, tradusse classici latini e greci. Tra il' 15e il' 16 si attua quella che egli stesso chiama la sua conversione "dall'erudizione al bello": abbandona le aride minuzie filologiche, e comincia a leggere i moderni, la Vita di Alfieri, tramite la lettura della De Staèl viene a contatto con la cultura romantica (nei cui confronti ha però, come si vedrà, forti riserve). Nell'estate del 1819 tentò la fuga dalla casa patema, ma il tentativo fu scoperto e sventato. Lo stato d'animo conseguente a questo fallimento lo portarono a uno stato di totale prostrazione e aridità. Raggiunse così la percezione lucidissima della nullità di tutte le cose, che è il nucleo del suo sistema pessimistico. Questa crisi del 1819 segna un altro passaggio, sempre a detta di Leopardi stesso, dal "bello al vero", dalla poesia d'immaginazione alla filosofia e ad un poesia nutrita di pensiero.
Il 1819 è anche un anno di intense sperimentazioni letterarie. Molti filoni sono tentati e subito abbandonati, ma con l'Infinito comincia la stagione più originale della sua poesia. Si infittiscono anche le note dello Zibaldone una sorta di diario intellettuale, avviato due anni prima, a cui Leopardi affida appunti, riflessioni filosofiche, letterarie, linguistiche. Nel 1822 ha finalmente la possibilità di uscire da Recanati e di vedere il mondo esterno a quella "tomba de5 vivi", si reca infatti a Roma. Gli ambienti letterari di Roma gli appaiono vuoti e meschini, la stessa grandezza monumentale della città lo infastidisce. Tornato a Recanati nel' 23, si dedica alla composizione delle Operette morali, a cui affida l'espressione del suo pensiero pessimistico. Trascorre l'inverno '27-'28 a Pisa: qui la dolcezza del clima e una relativa tregua dei suoi mali favoriscono un "risorgimento" della sua facoltà di sentire e di immaginare. Nella primavera del '28 nasce così A Silvia, che apre la serie dei "grandi idilli”. Nell'autunno del 1828, aggravatesi le condizioni di salute, divenuto impossibile ogni lavoro e sospeso l'assegno dell'editore, è costretto a tornare in famiglia, a Recanati. Vi rimane un anno e mezzo, "sedici mesi di notte orribile". Vive isolato nel palazzo paterno, senza rapporti con alcuno, immerso nella sua tetra malinconia. Nell'aprile del "30 si risolve ad accettare una generosa offerta degli amici fiorentini, che pochi mesi prima aveva respinto per fierezza: un assegno mensile per un anno. Lascia così Recanati, per non farvi più ritorno. Comincia una nuova fase della sua esperienza intellettuale: esce dalla cerchia chiusa ed esclusiva del suo io, stringe rapporti sociali più intensi, viene a contatto con il dibattito culturale e anche politico. A Firenze fa anche l'esperienza della passione amorosa, per Fanny Tozzetti. La delusione subito ispira un nuovo ciclo di canti, il cosiddetto "ciclo di Aspasia" in cui compaiono soluzioni poetiche decisamente nuove.Dal'33 si stabilisce a Napoli col Panieri. Qui entra in polemica con l'ambiente culturale, dominato da tendenze idealistiche e spiritualistiche, avverse al suo materialismo ateo. La polemica prende corpo soprattutto nell'ultimo grande canto. La ginestra. A Napoli lo coglie la morte, attesa e invocata da anni, il 14 giugno 1837.
Il pensiero
Tutta l'opera leopardiana si fonda su un sistema di idee continuamente sviluppate, il cui processo si può seguire attraverso le migliaia di pagine dello Zibaldone. Al centro della meditazione di Leopardi si pone subito un motivo pessimistico, l'infelicità dell'uomo. Egli arriva a individuare la causa prima di questa infelicità in alcune pagine fondamentali dello Zibaldone del luglio 1820. Restando fedele a un indirizzo di pensiero settecentesco, identifica la felicità con il piacere, sensibile e materiale. Ma l'uomo non desidera un piacere, bensì il piacere: aspira cioè a un piacere che sia infinito, per estensione e per durata. Pertanto, siccome nessuno dei piaceri particolari goduti dall'uomo può soddisfare questa esigenza, nasce in lui un senso di insoddisfazione perpetua, un vuoto incolmabile dell'anima. Da questa tensione inappagata verso un piacere infinito che sempre gli sfugge nasce per Leopardi l'infelicità dell'uomo, il senso della nullità di tutte le cose. L'uomo è dunque, per Leopardi, necessariamente infelice, per la sua costituzione. Ma la natura, che in questa prima fase è concepita da Leopardi come madre benigna e provvidenzialmente attenta al bene delle sue creature, ha voluto sin dalle origini offrire un rimedio all'uomo: l'immaginazione e le illusioni, grazie alle quali ha velato agli occhi dell’uomo le sue effettive condizioni. La prima fase del pensiero leopardiano è tutta costruita su questa antitesi tra natura e ragione, tra antichi e moderni. Leopardi da un giudizio durissimo sulla civiltà dei suoi anni, la vede dominata dall'inerzia; ciò vale soprattutto per l'Italia, miserevolmente decaduta dalla grandezza del passato. Scaturisce di qui la tematica civile e patriottica che caratterizza le prime canzoni leopardiane. E ne deriva anche un atteggiamento titanico', il poeta, come unico depositario della virtù antica, si erge solitario a sfidare il fato maligno che ha condannato l'Italia a tanto male. Questa fase del pensiero leopardiano è stata designata con la formula del pessimismo storico: nel senso che la condizione negativa del presente viene vista come effetto di un processo storico, di una decadenza e di un allontanamento progressivo da una condizione originaria di felicità e pienezza vitale (ma non bisogna mai dimenticare che si tratta pur sempre di una felicità relativa, e che Leopardi è già sin d'ora consapevole del fatto che la vera condizione dell'uomo è infelice, e che la felicità antica era solo frutto di illusione, di un generoso e provvidenziale inganno). Questa concezione di una natura benigna e provvidenziale entra però in crisi.
Ne deduce che il male rientra nel piano stesso della natura. Si rende conto inoltre del fatto che è la natura che ha messo l'uomo quel desiderio di felicità infinita, senza dargli i mezzi per soddisfarlo. Leopardi cerca di uscire da queste contraddizioni attribuendo la responsabilità del male al fato; propone quindi una concezione dualistica, natura benigna contro fato maligno. Ma ben presto arriva alla soluzione delle contraddizioni rovesciando la sua concezione della natura. Leopardi concepisce la natura non più come madre amorosa e provvidente, ma come meccanismo cieco, indifferente alla sorte delle sue creature; meccanismo anche crudele, in cui la sofferenza degli esseri e la loro distruzione è legge essenziale, perché gli individui devono perire per consentire la conservazione del mondo (ad esempio gli animali che devono servire da cibo ad altri animali). E una concezione non più finalistica ( la natura che opera consapevolmente per un fine, il bene delle creature) ma meccanicistica e materialistica. La colpa dell'infelicità non è più dell'uomo stesso, ma solo della natura. L'uomo non è che vittima innocente della sua crudeltà. Se causa dell'infelicità è la natura stessa, nel suo cieco meccanismo immutabile, tutti gli uomini, in ogni tempo, in ogni luogo, sotto ogni forma di governo, in ogni tipo di società, sono necessariamente infelici. Al pessimismo "storico subentra così un pessimismo "cosmico": nel senso che l'infelicità non è più legata ad una condizione storica e relativa dell'uomo, ma ad una condizione assoluta, diviene un dato eterno e immutabile di natura. Suo ideale non è più l'eroe antico, teso a generose imprese, ma il saggio antico, la cui caratteristica è Atarassia, il distacco imperturbabile della vita. E' l'atteggiamento che caratterizza le Operette morali.
La poetica del vago e indefinito.La "teoria del piacere", elaborata nel luglio 1820, è un punto fondamentale nel sistema di pensiero leopardiano. Se nella realtà il piacere infinito è irraggiungibile, l'uomo può figurarsi piaceri infiniti mediante l'immaginazione ("il piacere infinito che non si' può trovare nella realtà, si trova così nell'immaginazione, dalla quale .derivano la speranza, le illusioni").Ciò che stimola l'immaginazione a costruire questa realtà parallela, è tutto ciò che è vago, indefinito, lontano, ignoto. Nelle pagine dello Zibaldone Leopardi passa in rassegna, in chiave sensistica, tutti gli aspetti della realtà sensibile che, possiedono questa forza suggestiva. Si viene a costruire una vera e propria teoria della visione: è piacevole la vista impedita da un ostacolo, una siepe, un albero, una torre, una finestra, "perché al posto della vista, lavora l'immaginazione e il fantastico. Contemporaneamente viene a costruirsi anche una teoria del suono. Leopardi elenca tutta una serie di suoni suggestivi perché vaghi: un canto che vada a poco allontanandosi, lo stormire del vento tra le fronde. Il bello poetico, per Leopardi, consiste dunque nel vago e nell'indefinito, e si manifesta essenzialmente in immagini del tipo di quelle elencate nella teoria della visione e del suono (anche certe parole sono per lui poetiche, per le idee indefinite che suscitano: ad esempio "lontano", "antico", "notte", "ultimo", "eterno"). Leopardi aggiunge poi una considerazione importante: queste immagini sono suggestive perché, per lo più, evocano sensazioni che ci hanno affascinati da fanciulli. La rimembranza diviene pertanto essenziale al sentimento poetico. Poetica dell'indefinito e poetica della rimembranza si fondono: la poesia non è che ricupero della visione immaginosa della fanciullezza attraverso la memoria.
Leopardi e il Romanticismo.La teoria del vago e dell'indefinito è indispensabile per capire la posizione di Leopardi nei confronti della nuova poetica romantica. La formazione di Leopardi era stata rigorosamente classicistica. Perciò, nella polemica tra classicisti e romantici. Leopardi doveva inevitabilmente prendere posizione contro le tesi romantiche. In realtà le sue posizioni sono molto originali rispetto a quelle dei classicisti. Per lui, come si è visto, la poesia è soprattutto espressione di un mondo interiore immaginoso e fantastico, proprio dei primitivi e dei fanciulli. Al contrario, proprio i classici antichi sono per lui un esempio mirabile di poesia fresca, spontanea, immaginosa.. Però è vicino al Romanticismo per una serie di grandi motivi che ricorrono nelle sue opere, la tensione verso l'infinito, l'esaltazione dell'io e della soggettività, l'enfasi posta sul sentimento, il conflitto illusione-realtà, con la scelta del mondo dell'immaginazione contrapposto a quello della realtà, l'amore per il vago e indefinito, il culto della fanciullezza e del primitivo come momenti privilegiati dell'esperienza umana.
Il primo Leopardi: le Canzoni e gli Idilli.II periodo successivo alla conversione "dall'erudizione al bello" del 1816, sino alla grande crisi del 1819, è ricco di esperimenti letterali. Di questo vario fermento di prove, si concretano due soli gruppi di poesie veramente mature: le Canzoni e gli Idilli. Le Canzoni furono composte tra il 1818 e il 1823. Si tratta di componimenti di impianto decisamente classicistico, che impiegano il linguaggio aulico, con sensibili influenze soprattutto di Alfieri e Foscolo. La base di pensiero è costituita da quel "pessimismo storico" che caratterizza la visione leopardiana in questo momento. Sono animate da spunti polemici contro l'età presente, inerte e corrotta. Il pessimismo storico giunge a una svolta: si delinea l'idea di un'umanità infelice non solo per ragioni storiche, ma per una condizione assoluta. Non si incolpa ancora la natura, ma gli dèi e il fato, visti come forze malvagio che si compiacciono di perseguitare l'uomo. Ad esse si contrappone l'eroe singolo, che si ribella alla forza crudele che l'opprime, e afferma la propria libertà in un gesto di sfida suprema, dandosi la morte. E’ l'affermazione più decisa del titanismo eroico che caratterizza il primo Leopardi. Un carattere molto diverso presentano gli Idilli, sia nelle tematiche, sia nel linguaggio, che è più colloquiale e di limpida semplicità. Con quel titolo complessivo Leopardi designò alcuni componimenti, scritti tra il 1819 e il 1821, L'Infinito La sera del dì di festa. Questi idilli del 1819-21 non hanno più nulla a che fare con la tradizione bucolica classica, che rappresentava una campagna stilizzata e figure idealizzate di pastori. Negli idilli, dunque, la rappresentazione della realtà esterna, delle scene di natura serena, è tutta in funzione soggettiva: ciò che a Leopardi preme di rappresentare sono momenti essenziali della sua vita interiore.Esemplare è l' Infinito (1819), in cui compare una situazione che può ricordare l'idillio classico (la siepe che definisce uno spazio limitato, lo stormire, del vento tra le foglie); ma non è lo scenario di una semplice quiete contemplativa, bensì lo spunto per una vertiginosa meditazione lirica sull'idea di infinito creato dall'immaginazione, a partire da sensazioni visive e uditive. Alla luna (forse 1820) affronta invece il tema complementare della "ricordanza", che, come l'immaginazione, trasfigura il reale e l'abbellisce, anche se la realtà è triste e angosciosa.
Le Operette morali.Chiusa la stagione delle canzoni e degli idilli, comincia per Leopardi un silenzio poetico che durerà sino alla primavera del* 28. Egli stesso sprofonda in uno stato d'animo di aridità e di gelo, che gli impedisce ogni moto dell'immaginazione e del sentimento. Per questo intende dedicarsi soltanto all'investigazione dell'arido vero". Da questa disposizione nascono le Operette morali, quasi tutte composte nel 1824, di ritorno da Roma. dopo la delusione subita nel suo primo contatto con la realtà esterna alla "prigione" di Recanati. A questo folto gruppo si aggiungeranno poi il Dialogo di un venditore di almanacchi e di un passeggere e il Dialogo di Tristano e di un amico. Le Operette morali sono prose di argomento filosofico. Leopardi vi espone il "sistema" da lui elaborato, attingendo al vasto materiale accumulato nello Zibaldone. Molte delle operette sono dialoghi, i cui interlocutori sono creature immaginose, personificazioni, personaggi mitici o favolosi, in altri casi si tratta di personaggi storici, oppure di personaggi storici mescolati con esseri bizzarri o fantastici. In alcune operette l'interlocutore principale è proiezione dell'autore stesso.
I grandi idilli.Il lungo periodo di silenzio poetico, che coincideva con un periodo di aridità interiore, si è concluso. Il poeta assiste a un "risorgimento" delle sue facoltà di sentire, commuoversi e immaginare. Pochi giorni dopo nasce A Silvia. Nell'autunno del '29 compone La quiete dopo la tempesta. II sabato del villaggio; A questa fase, anche se non databile con certezza, risale anche il Passero solitario. Questi componimenti, nati dal "risorgimento" della sensibilità giovanile, riprendono temi, atteggiamenti,, linguaggio degli "idilli' del '19-''21: le illusioni e le speranze, proprie della giovinezza, le rimembranze, quadri di vita borghigiana e di natura serena e primaverile, la suggestione di immagini e suoni vaghi e indefiniti, il linguaggio limpido e musicale. Nel mezzo si collocano esperienze decisive, la fine delle illusioni giovanili, l'acquisita consapevolezza del "vero", la costruzione di un sistema filosofico fondato su di un pessimismo assoluto. Sarebbe sbagliato, pertanto, ridurre i grandi idilli alla sola componente "idillica", come ha fatto la critica crociana, trascurando la presenza del « vero». La caratteristica che individua i grandi idilli è quindi un miracoloso equilibrio che si instaura tra due spinte che dovrebbero essere contrastanti, il "caro immaginar" e il "vero". Proprio la presenza di questa consapevolezza e di questo equilibrio determina un'altra fondamentale differenza tra i grandi idilli e i primi idilli di un decennio prima: non compaiono più gli slanci, i fremiti, gli impeti di disperazione e di rivolta, le esasperazioni patetiche (si pensi alla Sera del dì di festa: Qui per terra mi getto, e grido, e fremo"). Leopardi ha assorbito nella poesia l'esperienza delle Operette, quell'atteggiamento di contemplazione ferma e di lucido dominio dinanzi a una verità immutabile. Coerente rispetto a questo atteggiamento è il linguaggio, che a ben vedere è sostanzialmente diverso da quello dei primi idilli: un linguaggio più misurato, sia nella direzione della tenerezza e della dolcezza. Nuova rispetto ai primi idilli è anche l'architettura metrica: il poeta non usa più l'endecasillabo sciolto, ma una strofa di endecasillabi e settenari che si succedono liberamente, senza alcuno schema fìsso, con un gioco egualmente libero di rime, assonanze, enjambements. L'ultimo Leopardi.L'ultima stagione leopardiana, che si colloca dopo il 30 e dopo l'allontanamento definitivo da Recanati, segna una svolta di grande rilievo rispetto alla poesia precedente. Leopardi ristabilisce un contatto diretto con gli uomini, le idee, i problemi del suo tempo. Non solo, ma appare più orgoglioso di sé, della propria grandezza spirituale, più pronto e combattivo nel diffondere le sue idee, nel contrapporle polemicamente alle tendenze dominanti dell'epoca. Si colloca negli anni fiorentini la prima vera esperienza amorosa di Leopardi: non più un amore adolescenziale, tutto risolto nel chiuso dell'immaginazione, ma un'autentica passione, vissuta con intenso fervore per una dama fiorentina, Fanny Targioni Tozzetti. La delusione cocente subita in tale rapporto segna per Leopardi la fine dell'inganno estremo", che aveva creduto eterno: l'amore. Dalla passione e dalla delusione nasce il cosiddetto "ciclo di Aspasia", dal nome greco con cui, in una di queste liriche, il poeta designa la donna amata (Aspasia era la cortigiana amata da Pericle nel V secolo a. C.). Ma, soprattutto, si instaura in questo periodo un rapporto intenso con le correnti ideologiche del tempo. La critica leopardiana si indirizza contro tutte le ideologie ottimistiche che esaltano il progresso e profetizzano un miglioramento indefinito della vita degli uomini, grazie alle nuove scienze sociali ed economiche e alle scoperte della tecnologia moderna.Leopardi critica il liberalismo moderato dei patrioti non in nome di posizioni politiche più avanzate, democratiche e autenticamente progressiste, ma dal punto di vista del suo pessimismo assoluto, che nega ogni possibilità di miglioramento politico e sociale per un'umanità vittima della natura. Una svolta essenziale si presenta con la Ginestra (1836), il testamento spirituale di Leopardi, la lirica che idealmente chiude il suo percorso poetico. Il componimento ripropone la dura polemica antireligiosa. Però qui Leopardi non nega più la possibilità di un progresso civile: cerca anzi di costruire un'idea di progresso proprio sul suo pessimismo. La consapevolezza lucida della reale condizione umana, indicando la natura come la vera nemica, può indurre gli uomini a unirsi in "social catena" per combattere la sua minaccia. La filosofia di Leopardi, che non è mai stata misantropica, come il poeta stesso tiene a sottolineare, si apre qui a una generosa utopia, basata sulla solidarietà fraterna degli uomini, che nasce a sua volta dalla diffusione del "vero". La Ginestra, sul piano letterario, è un vasto poemetto, costruito sinfonicamente con sapiente alternanza di toni, dal quadro grandioso e tragico del vulcano minacciante distruzione e delle distese di lava infeconda, all'aspra polemica ideologica, alla visione dell'Infinito svolgersi dei secoli della storia umana su cui incombe immutabile la minaccia della natura, sino alle note gentili dedicate al "fiore del deserto", in cui si compendiano complessi significati simbolici, la pietà' verso le sofferenze umane, la dignità che dovrebbe essere propria dell'uomo dinanzi alla forza invincibile della natura che lo schiaccia.
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